Elenco delle storie
CONVENTI E ORATORI
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Periodo StoricoLa Seconda Guerra Mondiale e le memorie
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Argomento storicoLe nostre memorie del 900 da S. Geminiano
ORATORIO DEDICATO A SAN. CARLO BORROMEO ( in S. Geminiano )
Le prime notizie del luogo sono del 924: una pergamena dell’archivio capitolare di Parma del I° aprile 924 parla di “locas et fundus Ramulani“ di evidente derivazione romana, forse a soccorso dei viandanti che percorrevano la strada romana che da Brescello conduceva a Luceria –Linari ed “all’antica Luni”. Sorse intorno al secolo XI° un convento con annesso ospizio di cui si ritrovano tracce nel fabbricato di S. Geminiano. Il 14 luglio 1163, in presenza di testimoni, Gerardo, figlio di Armando di Martorano, concesse ai canonici della cattedrale di Parma i diritti di “Amaxamento e investitura che ad esso spettavano della chiesa posta in loco dicitur Geminiano “ e sue pertinenze. Ciò probabilmente portò ad un atto successivo per ripristinare i diritti non sempre rispettati da Gerardo. Nel 1183 in un documento conservato nell’archivio di stato citato da don Drei Vol. III si 24 b è riportato un atto di testimonianza nella contesa sorta fra il convento di S. Quintino di Parma e il parroco di Martorano per il possesso della chiesa di S. Geminiano. Alberto Perborello testimoniò che da oltre 50 anni la badessa di S. Quintino teneva “in quiete e sine al quo contrario “ la chiesa di S. Geminiano, e vi investiva i parroci Ogerio e Cleofa. Questi ultimi, in segno di sottomissione, andavano ogni anno al monastero di S. Quintino e portavano alla Badessa polli, uova, formaggio e 2 libbre di cera come segno inequivocabile di riconoscimento del diritto di proprietà del monastero. Nello stesso documento si citano due abitanti di questo luogo, Giovanni Bellalancia e Donichilda, i quali testimoniano che la suddetta chiesa appartiene alla Badessa Alchenda di San Quintino, le cui monache venivano e dimoravano a loro piacimento. Dopo queste notizie il luogo di S. Geminiano non viene ricordato per lunghi anni. Probabilmente fu poi ricompreso nella crescente influenza dell’Abbazia di S. Felicola. Annesso più tardi al feudo dei Torelli di Montechiarugolo, S. Geminiano è ricordato in un atto di divisione del 1567 fra Pomponio Torelli e il fratello Adriano. Soltanto dopo l’acquisizione da parte di un imprenditore lombardo - piemontese di nome Carlo Piazza , proprietario di diversi poderi della zona, S. Geminiano tornò ad essere all’onore delle cronache . Carlo Piazza, nominato Podestà del comune di Montechiarugolo dal 1835 al 1846, possedeva circa 100 ettari di terreno, con caseificio aziendale, suddivisi in diversi poderi. Restaurò molti fabbricati rurali e ne costruì dei nuovi; nella casa padronale costruì l’oratorio dedicandolo a S. Carlo Borromeo. Tra i suoi discendenti, tutti in linea retta femminile, troviamo la figlia Teresa, sposa dell' ing. Vecchi, Sindaco di Montechiarugolo (1900-1902) , da questi la figlia Albina maritata Cipelli e la figlia Anna moglie del prof. Candian, illustre figura di docente di materie giuridiche presso le università di Parma, Pavia, Milano, nominato prof. Emerito dal Presidente della Repubblica . Egli formò negli studi diverse generazioni di giovani educandoli ad alti ideali di giustizia e di etica morale e professionale.
Tra i suoi figli, il Dott. Tullio Candian volle perpetuare il nome del padre, attraverso una scuola a lui dedicata che poi donò al Comune , purché fosse dedicata ad attività culturali. Fu fondatore della banda musicale di S. Geminiano che, dopo la sua morte, è stata intitolata a suo nome.
SANTA FELICOLA
In un documento del 924 si ricorda una donazione, in loco Romulano, all’oratorio dedicato a S. Felicola . In un atto di affittanza del 31 ottobre 1148 viene ricordato un certo Baldovino, come affittuario, ed il prete Parmo, canonico della chiesa di S. Felicola, come concedente. Anche nel 1156 si ricorda una donazione di vari beni alla suddetta chiesa. Nel 1018 vi sorse il monastero ad opera dei canonici regolari di S. Agostino, provenienti da santa Maria del Reno di Bologna. Dette notizie sono tratte dal volume “Le carte degli archivi parmensi di don Drei”. Nel XII° secolo il monastero raggiunse la sua massima importanza col possesso di terre anche a Montecchio e S. Ilario, oltre alla concessione della chiesa con ospedale di S. Sepolcro in Parma. Nel 1165 altra acquisizione di terreno nei pressi della chiesa di S. Ambrogio (Montecchio) e nel 1169 altre concessioni in affitto o livello di un podere denominato Cerreto compreso tra le due Zole con sovrastante Molendino ancora oggi rintracciabile ( presso Basilicagoiano ). Nel 1313 l’abbazia fu incendiata dalla furia ghibellina, nella guerra di Gioacchino Sanvitale contro Parma. Da allora non si riprese, perseguitata anche dalla peste nera del 1348 in seguito alla quale rimasero solo due frati a reggere il monastero che fu quindi unito a quello di santa Romana ( o S. Ermanno, in via XXV aprile ) rimasto completamente sguarnito. Nel 1360 il consiglio dei canonici di S. Sepolcro decise di abbandonare il priorato che era ormai da tempo inefficiente, incorporandolo nella mensa vescovile. Detta decisione fu revocata dal duca di Milano e dal Comune di Parma. Dopo varie controversie durate sino al 1456, l’arciprete della cattedrale e due rappresentanti dell’abbazia raggiunsero un accordo: il priore dell’abbazia avrebbe pagato 300 ducati d’oro entro la Pasqua del 1458, in tre rate . Nel 1460 con l’aiuto di Bianca Visconti, moglie di Francesco Sforza , i canonici della congregazione di Mortara vennero a Parma e posero la loro dimora in S. Sepolcro. I priorati di S. Felicola e S. Ermanno vennero aggregati alla cosiddetta “ Prebenda di S. Sepolcro” in essere sino ai giorni nostri. E’ del 1489 un contratto di mezzadria stipulato da fra Sanbernardo, priore di S. Sepolcro, e S. Felicola con tre famiglie di mezzadri della zona e precisamente : i fratelli De Borri, i fratelli De Martini, il Barone Stefano Cafagnini e figli. La stipula avvenne il 20 novembre 1489 nel refettorio di S. Felicola , contratto che a quei tempi prevedeva molte clausole pesanti e restrittive nei confronti dei mezzadri. L’intera proprietà rimase alla prebenda sino al 1789; con bolla di papa Pio VI° passò all’ospedale di Parma che la permutò con altri beni della famiglia dei Conti Simonetta. Dai suddetti passaggi di proprietà restarono esclusi i due poderi Fratta e Casellina, condotti in affitto per alcuni decenni del secolo passato dalla famiglia Beccari, entrambi sulla provinciale Parma- Montecchio; il podere Fratta, essendo in ottima posizione, fu quasi tutto lottizzato ed ora è una bellissima zona residenziale. La Casellina invece fu ceduta all’affittuario che lo conduce attualmente. S. Felicola, chiamata abitualmente “la Corte”, ai tempi dei conti Simonetta, era estesa per 500 biolche e comprendeva, oltre al nucleo centrale dov’era l’Abbazia, i poderi Barcaccia, prospiciente alla strada provinciale, Le Pergole, il podere Canova, i poderi Casa del Pozzo, Casa Tripoli e Casa Bianca, collegati alla corte con strade vicinali. E dall’ultimo dopoguerra, dopo il prolungamento di via Resga fino alla Fratta, gli ultimi tre poderi fronteggiano la nuova via Resga. Oltre ai poderi suddetti la proprietà si estendeva anche al molino della Pista, ora molino Cerioli. Attorno al 1920 per controversie di carattere ereditario, la famiglia dei Conti Simonetta si apprestò alla vendita dell’intera proprietà a Brandino Vignali, persona dotata di grandi capacità imprenditoriali . Erano allora affittuari di tutti i terreni i fratelli Garsi , conosciuti anche in seguito per l’attività di produzione di laterizi in Basilicanova. I fratelli Garsi ottennero, come buonuscita per lasciare libera l’intera proprietà e come provvigione per aver fatto opera di avvicinamento tra le parti, la proprietà dei tre poderi Casa del pozzo, Casa Tripoli e Casa Bianca. Vignali dimostrò di essere un provetto bonificatore: nella parte più alta della proprietà denominata “il Montirone” procedette alla deforestazione ed alla messa a coltura del terreno, nella zona bassa chiamata “le Risaie“ trasformò la coltivazione del riso con altre più adatte all’allevamento del bestiame. Si adoperò per migliorare la zootecnia. Erano i tempi di Stanislao Solari e del professor Bizzozero e Brandino Vignali, pur essendo illetterato , veniva molto spesso chiamato a tenere delle relazioni ai convegni agricoli. Costruì, secondo una sua strategia di miglioramento aziendale, i fabbricati rustici e l’abitazione del conduttore, chiamati per sua volontà “Cà Toti”, stralciando dal complesso della corte il terreno più scomodo nell’estremo nord –ovest. Concluse un accordo con i proprietari dei terreni Le Basse (Fam. Bianchi) per il risanamento idrogeologico di quel fondo che, a causa di molte piccole sorgenti superficiali, era quasi completamente paludoso. Detto podere era posto al di là del rio Zola, a Sud dello sbarramento denominato “chiusa Simonetta”. Il Vignali operò un’imponente opera di bonifica con numerosi drenaggi. Il podere fu completamente risanato e, secondo gli accordi, egli ebbe il godimento delle acque recuperate ad uso perpetuo da immettere nella chiusa Simonetta, per uso irriguo della sua proprietà. Si dedicò pure all’industria conserviera costruendo uno stabilimento per la lavorazione del pomodoro in Basilicanova ( ora trasformato ). Nella sala che fu un tempo il refettorio del monastero penso ci siano ancora numerose fotografie che lo mostrano in viaggio in bicicletta con numerosi campioni del suo prodotto da portare ai tanti potenziali clienti, anche ad una notevole distanza. Nell’età matura fu insignito di numerose onorificenze per benemerenze in campo agricolo. Nel periodo più florido dell’azienda, la corte arrivò ad ospitare 27 famiglie, oltre ai mezzadri e affittuari dei vari poderi. Vi era il caseificio aziendale, la segheria ad uso interno, un piccolo laboratorio per la produzione di blocchi e di tubi in cemento necessari per la costruzione e manutenzione di piccoli locali rustici. Dopo la morte del commendator Brandino, la proprietà passò al figlio Gino che non ebbe l’intraprendenza del padre. Fra il 1946 e il 1948 con il prolungamento di via Resga fino alla Fratta, la proprietà venne tagliata dalla nuova strada. La parte chiamata un tempo” Bosco di S. Felicola ” venne venduta e così pure il mulino della Pista e il podere Cà Toti. Gradatamente l’azienda perse l’importanza e la dinamica di un tempo. Ora sia la corte che i vari poderi sono condotti da affittuari esterni.
ORATORIO S. ANNA “alle Salde “
Dagli archivi della Curia vescovile , grazie alla cura di don Enrico dall’Olio archivista, apprendiamo che fu visitato da Mons. Carlo Membrini il 27 aprile 1686 . La relazione, pur essendo breve, rende noto l’identità del proprietario e ricorda il provvedimento di sospensione di ogni celebrazione in attesa che si dotasse la chiesa degli arredi necessari poiché, probabilmente, era di recente costruzione. Dell’oratorio non si ha più notizia sino al 25 giugno 1714 giorno della visita dell’inviato di don Camillo Marazzani, che ne indicò l’ubicazione dichiarandolo sotto la giurisdizione di Monticelli e Montepelato e di proprietà dei fratelli Francesco, Carlo, Antonio, ed Alessandro De Thomatis abitanti in Montechiarugolo. Nella relazione si diceva che l’oratorio era ampio, ma tutto da tinteggiare. Occorreva quindi rimuovere dal soffitto molti nidi di rondine, chiudere le finestre, eliminare le infiltrazioni d’acqua, dipingere i candelabri e sistemare il Palio dell’altare che era appoggiato al muro. Ad opere eseguite, Mons. Marazzani rilasciò la licenza di officiarvi i sacri riti il 27 agosto 1727, dopo aver accertato tramite l’arciprete di Malandriano che erano state adempiute tutte le prescrizioni. Era possibile celebrarvi la messa festiva, ad esclusione della Pasqua, Natale, Pentecoste ed ogni importante festa parrocchiale. In quel tempo era proprietario Carlo Tomati assistito dal sig. Domenico Paglia di Parma. Nella successiva visita dell’8 luglio 1778 degli inviati di Mons. Pettorelli Lalatta, essendo la proprietà passata al Dott. Lorenzo Musi, si parla di soddisfazione dei visitatori che trovarono cose belle ed ottima conservazione. In occasione della visita di Caselli, il 27 agosto 1806 (il proprietario era sempre Lorenzo Musi ) si rinnova l’impressione positiva per l’ottima manutenzione. Al tempo di Mons. Vitale Loschi l’oratorio fu visitato dal Canonico Gianbattista Pellegrini e dal dott. Bolzoni Don Domenico ( 17 settembre 1883). I due visitatori lo descrissero sufficientemente capace, provveduto del necessario, con struttura a volta e, a far fede degli arredi, era stato stilato un inventario firmato da Filippo Musi e dal cappellano del tempo. L’oratorio figura nuovamente in due visite compiute da Mons. Evasio Colli il 25 aprile 1941 e il 14 aprile 1955 dove si lamenta lo stato di abbandono dell’oratorio, a quel tempo di proprietà dell’avvocato Giovanni Lusignani. Non si hanno notizie del tempo in cui apparteneva ai Baroni Mistrali, creati Baroni da Maria Luigia. Due di essi furono sindaci in Montechiarugolo: il barone Attilio (1863-1866) e il barone ing. Giovanni Vincenzo (1902 – 1903) . Del tempo dei Mistrali esiste un imponente platano tuttora tutelato dalla sovrintendenza regionale. Viva curiosità ha sempre destato un prato stabile nel comprensorio di Campo Bo, ma collegato a S. Anna con un ponte sul canale della Spelta, definito dalle vecchie mappe catastali “ Prato del beneficio di S. Anna”. Dopo la morte dell’avv. Lusignani fu creata una fondazione esauritasi nel giro di pochi anni. La proprietà fu quindi venduta agli affittuari, Famiglia Leoni. S. Anna è ricordata nel libro delle “Ville parmensi” del prof. Gambara in cui vengono menzionati il parco ed il laghetto; quest’ultimo però non esiste più.
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Data creazioneGiovedì, 29 Aprile 2021
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Ultima modificaGiovedì, 06 Giugno 2024