Elenco delle storie
CONTRATTI DI LAVORO IN AGRICOLTURA
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Periodo StoricoLa modernità: dal 900 al 1940
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Argomento storicoL’agricoltura nella prima metà del ‘900
Dal libro di Attilio Mazzali, riportiamo il quadro delle mansioni dei lavoratori agricoli, per i ruoli di :
Il" famì" - Come nell’Ottocento, i ragazzi delle famiglie più povere, già dai 9 -10 anni, andavano presso famiglie di coltivatori diretti o mezzadri a svolgere mansioni certamente più leggere di quelle riservate agli adulti, ma con un impegno orario indefinito. La parte più importante della retribuzione era rappresentata dall’alimentazione che il ragazzo riceveva dalla famiglia, poi, a seconda delle attitudini, veniva corrisposta una paga ai genitori che, nel caso del Mazzali, dal 1931 al 1936 fu :
- all’età di dieci anni 50 lire annuali più 3,5 quintali di frumento ( anni Trenta);
- a undici anni 300 lire annuali più 3,5 quintali di frumento;
- a quattordici anni mezza paga da salariato di stalla;
- a sedici anni una paga intera da bifolco;
Salariati vaccari – Per ottenere il corrispettivo di una paga il vaccaro doveva curare 15 mucche (probabilmente 8 se doveva anche provvedere al taglio e al trasporto dell’erba), un toro e i vari vitelli. Due volte al giorno doveva pulire la mangiatoia e distribuire un primo giro di fieno o di erba; quindi ripulire la lettiera dal letame e trasportarlo nella concimaia, iniziare la mungitura (allora manuale dentro i secchi), alimentare gli eventuali vitelli, provvedere all'abbeveraggio con un bigoncio da 40 litri per una coppia di mucche (l'acqua proveniva dal pozzo posto generalmente sotto la porta morta e veniva trasportata nella stalla con i secchi), strigliare con la streggia e la spazzola e riposizionare la paglia nel letto. L’attività mattutina poteva iniziare alle 4 in inverno e alle 2 in estate, al pomeriggio verso le 15. Non mancava la consegna del latte al caseificio e, quando la mucca era in procinto di partorire, si doveva dormire nella stalla per essere pronti ad ogni evenienza. In inverno il fieno veniva prelevato dal fienile: si tagliavano delle falde quadrate di 60 cm di lato e si infilavano in un bastone appuntito (il” friss”) sino ad un altezza di un metro o un metro e mezzo (porzione per due vacche). L' erba fresca invece veniva prelevata dal carro. Nel 1926 il compenso era di 117 lire al mese, passate poi a 122 nel 1939 e a 148 nel 1944. Seguivano poi generi in natura, pari a 6,5 quintali di frumento, 5 di granoturco, 5 di uva, 10 di legna e un litro di latte al giorno. Era fornita l’abitazione, il diritto ad un pollaio di 10 galline e un porcile.
Il Bifolco – A suo tempo definito “famì da spesa” era un salariato che, come il vaccaro, era alloggiato nel fondo dove lavorava ed aveva un contratto annuale. Doveva curare i buoi, trasportare l'erba o il fieno dai campi alla casa e il letame dalla concimaia al campo da arare, portare i pomodori dai campi alla fabbrica e preparare il terreno per le semine.
La compartecipazione – Per ogni paga (vaccaro o bifolco) il datore di lavoro concedeva una biolca di terra da lavorare a mezzo; questo tipo di contratto poteva essere stipulato anche con personale esterno al fondo. Generalmente la produzione riguardava la coltivazione del pomodoro. Il datore di lavoro forniva il terreno già arato e metteva a disposizione i paletti di legno e il filo di ferro; il compartecipante doveva procurarsi le ginestre o i salici per legare le piantine di pomodoro ai fili e pagare i semi. Eventuali concimi, irrigazione e trasporto erano divisi a metà. Il lavoro del compartecipante iniziava con la zappatura del terreno, la preparazione delle buche ove poi si immetteva il seme e l’eventuale concime; si passava poi all’annaffiatura delle buche, prelevando l'acqua da una botte con i secchi. Se in alcune buche non nasceva la piantina, la si doveva trapiantare da altre dove ne erano nate diverse. Si procedeva quindi quindi alla infissione dei pali in legno, con particolare cura per quelli di testata che dovevano sopportare il tiro delle due o tre linee sovrapposte di fili di ferro. Quando le piantine erano cresciute si procedeva a fissarle ai fili. Per evitare i danni della peronospora erano necessari almeno due trattamenti di irrorazione con solfato di rame, erogato con le pompe a spalla o con la caretta, più efficiente, ma che richiedeva due operatori. L’irrigazione era a scorrimento, dopo aver scavato dei solchi paralleli ai filari. Finalmente a luglio inoltrato si iniziava la raccolta dei pomodori maturi: si utilizzavano le ceste (“cavagn”) per portarli in testata (la carera), dove poi venivano versati nelle cassette di legno, e da qui trasportati allo stabilimento. Le raccolte si succedevano con alcuni giorni di intervallo sino ai primi di settembre. Tutto questo lavoro era generalmente svolto dalle donne, con l’aiuto di qualche ragazzo. Detratte le spese, il guadagno proveniente dalla vendita dei pomodori era diviso al 50% tra il proprietario del fondo e il compartecipante.
La mezzadria – Sino agli anni '50 i contratti di mezzadria rimasero sostanzialmente immutati rispetto al Medioevo: il proprietario metteva il terreno e le attrezzature, il bestiame era a metà e l’attività lavorativa era tutta a carico del mezzadro. A fine anno il proprietario liquidava al mezzadro il 50% dei ricavi netti della gestione. Spesso i grossi proprietari terrieri affidavano al fattore la gestione degli affari. Tutta la famiglia del mezzadro, adulti, vecchi e bambini svolgevano attività lavorative, nella stalla, nei campi o per curare gli animali da cortile. Alcune pagine di un contratto di mezzadria e il registro di contabilità degli anni 1916 e 1920 ci forniscono un quadro delle attività che si svolgevano nel podere. Nei patti aggiuntivi al contratto base troviamo una nota curiosa: il proprietario si riserva il diritto di avere un donna a disposizione per il proprio bucato, senza retribuzione ma con il diritto al pasto.
Altro particolare: il capofamiglia conduttore firma e impegna in solido tutta la sua famiglia, della quale si registrano i nomi, senza riferimenti all’età:
Negli anni Cinquanta il lodo De Gasperi portò al 53% la quota spettante al mezzadro, da conferirsi non più a fine anno, ma mensilmente. Queste regole non furono ben accette dagli agrari e per alcuni anni furono disattese da molti: da qui vari scioperi e scontri nel nostro territorio coordinati dal sindacalista Mazzali. Nel 1957 fu deliberata la concessione della pensione al raggiungimento dei 60 anni per le donne e 65 per gli uomini. Fu nuovamente rivista la quota spettante al mezzadro, portandola al 60% e infine, nel 1982, la mezzadria venne abolita per legge.
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Data creazioneGiovedì, 28 Maggio 2020
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Ultima modificaGiovedì, 16 Maggio 2024