Elenco delle storie
LA COLTIVAZIONE DELLA VITE
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Periodo StoricoDal Regno d'Italia a fine Ottocento
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Argomento storicoL’agricoltura nella seconda metà dell'800
La coltivazione della vite – Nei documenti comunali troviamo che nell’agosto del 1851 il governatore Cornacchia chiede al Podestà informazioni relative alla diffusione di una malattia dell’uva: la “ crittogama parassita”, una polvere bianca che ricopriva gli acini. Probabilmente si trattava dell’ ”oidio” che in alcune aree del parmense già si curava soffiando zolfo in polvere con appositi mantici . Non abbiamo ritrovato dati di produzione del 1850, ma si evince una rapida mutazione nel modo di coltivarla: infatti in vent’anni si dimezzano le viti maritate, ovvero quelle che si sviluppano arrampicandosi ad un albero, generalmente all’olmo. Se nel 1873 erano circa 2.000, nel 1889 si erano già ridotte a 1185, per quasi estinguersi all’inizio del Novecento. Dati d’archivio indicano che la coltivazione della vite nel 1872-73 impegnava circa 50 ettari, con una resa media pari a 2 ettolitri di vino buono ogni ettaro , più 4 ettolitri di vino di seconda qualità. Il dato complessivo di circa 300 ettolitri di vino ci pare molto scarso, anche alla luce di un secondo dato del 1889, ove si stima una produzione d’uva pari a circa 2.300 ettolitri, riportabili a 920 ettolitri di vino che, su una popolazione di almeno 2.000 adulti, significa un bicchiere scarso al giorno a testa. Certamente a riequilibrare il rapporto tra esigenze e disponibilità soccorreva il mezzo vino, risorsa senza fondo e spesso senza sapore. La sua produzione prevedeva, dopo la spillatura del vino buono, l’immissione d’acqua sulle vinacce per ottenere il primo mezzo vino, poi si ripeteva il ciclo ed ecco il secondo mezzo vino.
Mentre nel 1870 sembra che le nostre viti fossero ancora indenni da particolari malattie, da un manuale di agraria di fine Ottocento si rileva però che erano già soggette ad attacchi di peronospora e oidio, per i quali si consigliavano trattamenti con solfato di rame e latticello di calce.
Sino agli anni ‘50, contro l’oidio si sono utilizzati soffietti per spolverare l’uva con polvere di zolfo.
Inoltre si precisava che la filossera, insetto simile agli afidi delle rose, distruggeva le radici delle viti. Come soluzione si consigliavano innesti su radici di vite americana, non indenne alla filossera, ma molto più resistente.
Vite maritata | apparato per trattamento della vigna con il verderame |
In questa foto vediamo un raro esempio di vite maritata ad un albero. Inoltre, su una scala di alcuni metri, trovano posto tutti i componenti della famiglia Ferrari intenti alla potatura, che avveniva con apposite forbici.
Forbice con manico rivestito in legno
Alla vendemmia seguiva poi la pigiatura, che generalmente avveniva in apposite vasche in legno (“ navasol” ) dotate di una griglia sul fondo per permettere al mosto di scorrere e raggiungere un bigoncio posto sulla testata più bassa. L’operazione era svolta da due o più persone scalze e naturalmente si scherzava sulla pulizia dei piedi.
Alla pigiatura seguiva la fermentazione nel tino, quindi l’eliminazione del cappello di vinacce inacidito e la torchiatura di quelle restanti, poi la posa in botti. Più recentemente si è abbandonata la navazza per tecniche più pratiche, quali la pigiatrice manuale a rulli.
Apparve anche la diraspatrice motorizzata a sbattimento che, installata su un motofurgone, andava a svolgere casa per casa la pigiatura con rapidità ed efficacia, separando ed eliminando i graspi.
L’utilizzo della bottiglia col tappo di sughero era raro nelle nostre campagne. Nell’Ottocento e nel primissimo Novecento il vino veniva conservato in botti e spillato per l’uso quotidiano e naturalmente non era spumante. Comunque nel Novecento si andò diffondendo anche l’uso delle bottiglie tappate con appositi attrezzi.
Riempibottiglie | Bottiglie | Tappatrice in legno | Tappatrice in ferro |
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Data creazioneDomenica, 10 Maggio 2020
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Ultima modificaDomenica, 02 Giugno 2024