LA COLTIVAZIONE DELLA VITE – Nel nostro territorio era abbastanza diffusa e generalmente limitata al lambrusco per consumo diretto. Per quasi un secolo si è presentata sotto forma di lunghi filari spesso posti su un lato dei fossi per non intralciare l’attività di altre colture. La struttura presentava una traversa sostenuta da due puntoni a 45 gradi; questi sostegni, posati ogni 5-6 m, venivano collegati con il filo di ferro, lungo il quale la vite si sviluppava.
Sino a qualche anno fa questi filari inglobavano degli olmi e aceri campestri (opi ) che, pesantemente potati, fungevano da irrobustimento della palificazione senza creare troppa ombra. il sistema di fissaggio della vite al filo d’acciaio era costituito da flessibilissimi rametti di salice che l’abilità dei contadini riusciva ad annodare saldamente come fossero corde. Naturalmente tutte le operazioni di potatura, irrorazione del verderame e vendemmia erano manuali.
Le odierne vigne non sono più relegate sui fossi, ma in filari paralleli, con le viti tirate a spalliera, per consentire la potatura e la vendemmia in modo meccanizzato.
Alla vendemmia seguiva poi la pigiatura, che generalmente avveniva in apposite vasche in legno (navasol) dotate di una griglia sul fondo per permettere al mosto di scorrere e raggiungere un bigoncio posto sulla testata più bassa. L’operazione era svolta da due o più persone scalze che naturalmente scherzavano sulla pulizia dei piedi. Alla pigiatura seguiva la fermentazione nel tino, quindi l’eliminazione del cappello di vinacce inacidito e la torchiatura di quelle restanti, poi la posa del liquido in botti. Anche questa pratica di produrre direttamente il vino per consumo famigliare si è estinta con la fine secolo. La vinificazione domestica è ridotta a rari casi, a volte a scopo puramente ludico.
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Il gioco della pigiatura |
Carretta per irrorazione con verderame |