Elenco delle storie
MILLO PONZI DA BASILICAGOIANO
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Periodo StoricoLa Seconda Guerra Mondiale e le memorie
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Argomento storicoLe nostre memorie del 900 da Basilicagoiano
MEMORIE DI MILLO PONZI alias ELIO classe 1928, barbiere in Basilicagoiano.
Quando sono nato, mio padre mi ha registrato in Comune col nome di Millo, quindi è partito per andare a lavorare in Francia. A mia madre il nome Millo non piaceva e quando mi ha fatto battezzare, mi ha chiamato Elio, nome col quale sono conosciuto da 86 anni.
Ricordi d’infanzia – Sono stato all’asilo! Ma esistevano a quei tempi? No ! Ma mia madre mi metteva in una cassetta da pomodori, così era libera di lavorare come se io fossi stato in un asilo. Mi hanno mandato anche in colonia, a Montechiarugolo e, dato che lì mi sono ammalato, il medico chiamato a visitarmi ha sentenziato che probabilmente era stato il cambiamento d’aria. Anche lei andava a scuola scalzo? Certo si andava con le scarpe in mano per non rovinarle, poi le si infilava prima di entrare nella scuola. Qualche ricordo dei tempi della scuola? All’epoca i ragazzi avevano rispetto e soggezione delle maestre. Un giorno, in terza elementare, un compagno di classe esordì dicendo : “ Signora maestra, Ponzi ha detto che ha visto un negro in paese “. Secondi di silenzio, mentre pensavo, sudando freddo : “Ma mi crederanno ?”. La maestra però disse: “ E’ possibile, sarà stato uno che andava dai Salesiani”. Un nero alla Villa era certamente un evento eccezionale! Anche a mia sorella era capitato un fatto molto strano: lei lavorava presso una famiglia ricca di Parma e un giorno disse sottovoce alla madre: “ Sai una cosa stranissima ? Il padrone e la padrona non dormono nello stesso letto!”.
Nella foto: da sinistra la sorella Fanna , Millo, il padre e la sorella Lisetta
A dieci anni ho avuto un attacco di appendicite, evoluta in peritonite. Mio padre mi ha portato all’ospedale di Parma e qui il prof. Sannazaro era incerto se operarmi, perché la malattia si era già aggravata troppo e forse sarebbe stata un’ operazione inutile. Fortunatamente decise di intervenire e dopo 76 anni sono ancora qui. Fatto curioso: il professore soffriva d’ernia, ma non si faceva operare perché non si fidava dei propri colleghi.
Un medico aveva detto a mio padre che mi avrebbe fatto bene bere del latte di capra, così andammo a Panocchia a comprare la Linda. Era molto buona e talvolta se veniva qualche amico che la portava a pascolare, lei mangiava, ma poi voleva rapidamente tornare a casa. Mio padre teneva anche un maiale, ma quando lo si uccideva, vendeva la carne da salami e i prosciutti e a noi restavano le ossa con qualche pezzo di carne attorno e un poco di strutto e grasso.
Nella foto di Basilicagoiano del 1938, con la chiesa sullo sfondo, un gruppo d’amici è in posa per la foto in un pezzo di prato allora di proprietà del notaio Barghenzi, prato che nel primo dopoguerra fu trasformato nel viale del paese. Il lavoro fu fatto in una giornata mentre il notaio era nel suo studio di Langhirano. La cosa poteva prendere una brutta piega, ma visto che fu intitolato ad un suo ex dipendente ucciso dai partigiani, si evitarono strascichi. Partendo dall’alto ( in piedi ) a sinistra vediamo Carpi Alberto del ‘25, che per l’altezza era definito ” Camel ”, seguono i fratelli Ponzi: Fanna del ‘20, Lisetta del ‘22, ed Elio del ‘28. Poi Giuseppe Ponzi del 1927, detto “Pinè” ( cugino), Ginetto …1927, Oreste Canepari, imprenditore edile.
La via centrale di Basilicagoiano
Da sinistra seduti, Gino Pelosi 1921, Mino Cantarelli 1923, Arturo Rossini 1925 ( falegname), Cenerino Ferraroni 1925 ( commerciante), Adolfo Pelosi 1924, Coriolano Canepari ( imprenditore edile).
In paese c’erano i tedeschi che requisivano le mucche; capitava che se ne accumulassero anche una trentina e si vedevano i soldati mungerle, poi sbattere i bottiglioni per fare il burro.
C’era un fabbro che chiamavano al Pastisser. Un giorno, un tizio vide un ragazzo tutto sporco di unto nero, e gli chiese: “Ma dove lavori per ridurti così?”. Lui, che lavorava dal fabbro, rispose tranquillamente: “ dal Pastisser!”. Al che, di rimando: “ Mo’ mia fer al coiòn!” .
Giochi da bambini – La fame non era mai un fattore trascurabile, per cui alcuni giochi erano finalizzati a procurarsi del cibo, ad esempio si dava la caccia ai passeri con i “lovet” (mini trappole fatte di filo d’acciaio), con un sistema a tagliola azionato da un fermo caricato con una briciola di pane, o un grano tenero di granoturco. Altro metodo di caccia consisteva nel mettere del cibo in un locale munito di una piccola porta: i passeri entravano a mangiare e improvvisamente venivano colpiti con una scopa o altro e quindi intrappolati e abbattuti. Altra fonte di cibo era il canale della Spelta dove si andava a pescare pesci e anguille. In alcuni casi si andava a grottare ( prendere i pesci nelle tane o sotto i sassi), oppure si preparavano delle buche, si drenavano con canaletti e si passava poi alla pesca nella buca. Qualche volta durante la guerra è capitato di mangiare anche qualche gatto. Quando ancora c’era il tram a vapore, a volte i miei amici più grandi andavano a sfrenare un vagone, poi lo spingevano verso Montecchio: appena fuori paese c’era la discesa per cui il vagone partiva e non si fermava che presso i Salesiani ove la strada riprendeva a salire. Giravamo anche per i campi, magari con la fionda per cacciare qualche uccello e intanto si cercava l’erba salina che assomigliava un poco alle sprelle, ma era salata.
Quali erano le attività commerciali?
Mio nonno con la famiglia era stato in Brasile (lista emigranti 1896: Ponzi Giuseppe con altre 5 persone, destinazione: Rio de Janeiro) a coltivare tabacco sino al 1912. Nel viaggio di ritorno uno dei figli morì e lo seppellirono in mare. Era tornato con un certo gruzzolo, forse 12.000 lire, e mia nonna mi raccontava che avrebbe potuto comprare una bella casa, ma poi con una casa non si mangia, così aveva messo su un negozio di stoffe e chincaglierie. Una notte sono venuti i ladri e hanno portato via tutto e addio al gruzzolo!
Dopo la guerra mio padre voleva tornare a lavorare all’estero, ma per fortuna mi chiamarono a fare il militare per un anno e mezzo, così lui restò a casa.
Nel primo dopoguerra nel paese c’erano varie attività: cinque botteghe da fabbro, altrettante da falegname per la costruzione dei mobili e riparazione dei carri, sette sarti da uomo e varie sarte da donna. Ad esempio, due delle mie sorelle andavano a lavorare presso la casa del Ferraroni, per imparare il mestiere e naturalmente lavoravano gratis. E c’erano anche cinque barbieri , uno a Tripoli, Burani e Zinelli, io e mio padre qui alla Villa. Ma come facevano 5 barbieri per 1700 persone? Intanto si tagliavano i capelli ogni venti giorni e, se uno tardava, gli chiedevano se gli era morto il barbiere; poi molti venivano a farsi la barba ( non c’erano i rasoi elettrici). E prima di andare a ballare venivano a farsi pettinare con la brillantina: la vendeva un certo Pagani che veniva da Parma con un fusto caricato sulla bicicletta . Poi naturalmente si facevano più lavori: mio padre ad esempio faceva anche il sarto da uomo. Io invece suonavo la fisarmonica con la banda Pattacini. Ho anche suonato nella banda Candian e col maestro Ferrari che in un primo tempo suonava la tromba, ma in seguito ad una paresi era passato al contrabbasso.
Ricorda quando è arrivata la luce elettrica ? Sino al ‘43 andavamo a petrolio, poi è arrivata la luce e abbiamo comprato anche la radio. Si ascoltava la musica e i notiziari; a qual tempo forse c’erano due o tre radio in tutto il paese. Mi ricordo che nel dopoguerra c’era un solo negozio di macelleria, ma per evitare che ne aprissero un secondo, il titolare prese una seconda licenza per un capannotto di legno dove non mise mai dentro niente.
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Data creazioneMartedì, 02 Giugno 2020
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Ultima modificaGiovedì, 27 Giugno 2024