Scopri gli usi
ATTREZZI PER LA VINIFICAZIONE
Nelle nostre campagne, ove la vigna era più ad uso diretto che per grandi produzioni, gli attrezzi indispensabili per la pigiatura erano:
IL BIGONCIO – Si utilizzava per la pigiatura di modeste quantità d’uva, ad esempio l’uva bianca.
LA NAVAZZA - Al navasol era utilizzato per la pigiatura sino agli anni Sessanta del Novecento. Era totalmente in legno, si appoggiava su due bassi cavalletti di altezza diversa per creare una pendenza verso il fronte dotato di una paratia che consentiva al mosto di scorrere verso il bigoncio sottostante. Per evitare che le vinacce ostruissero lo scarico, sul fondo della navazza era posizionato un graticcio con feritoie abbastanza strette da non lasciar passare i chicchi d’uva, ma solo il liquido. A seconda della lunghezza della navazza potevano pigiare due o tre persone contemporaneamente, naturalmente a piedi nudi.
Navazza standard per pigiatura. | Navazza giocattolo con bambini all’opera |
PIGIATRICI MANUALI A RULLI – Il principio di queste macchine si basava sulla movimentazione di due rulli attraverso un volano. Il movimento di contro rotazione portava i grappoli a inserirsi tra i due rulli che li schiacciavano, trasformandoli in mosto. I materiali di cui erano costruite queste semplici macchine sono cambiati nel tempo: i rulli e il volano sono sempre stati realizzati in metallo, mentre nei primi esemplari il cassone di carico e il telaio erano in legno e, in una fase intermedia, i telai erano in ferro; negli anni Cinquanta anche il cassone era in lamiera di ferro.
PIGIATRICE A SBATTIMENTO – Erano piccole pigiatrici a motore montate su un motocarro Ape che, oltre al trasporto, forniva l’energia motrice. La macchina, estremamente veloce, provvedeva anche all’espulsione dei graspi, per cui ne guadagnava la qualità del vino prodotto.
MOSTIMETRO – Scarsamente utilizzato nelle campagne, ma certamente importante per chi produceva vino da vendere e acquistava uva, il mostimetro permetteva di leggere la gradazione zuccherina del mosto basandosi sulla sua densità. In base alla densità si poteva stimare la gradazione alcoolica che avrebbe avuto il vino: ad esempio un mosto con gradazione zuccherina di 18 gradi avrebbe sviluppato una gradazione alcolica di circa 11°.
IL TINO - Il mosto prodotto ( liquido e vinacce ) veniva messo nel tino, una specie di botte di legno senza coperchio sull’estremità superiore e dotata di uno spinotto nella parte inferiore. Qui avveniva la fermentazione, ovvero la trasformazione degli zuccheri in alcool, provocata dalle bucce. Il processo durava mediamente dai tre ai cinque giorni, a seconda della temperatura ambiente. La fermentazione era avvenuta se dalla massa liquida emergeva il cappello di vinacce. Se non si utilizzava il torchio, dopo aver spillato il vino buono, si versavano vari secchi d’acqua sulle vinacce, si aspettava qualche giorno per avere il mezzo vino, che aveva un colore più chiaro, un sapore non molto accentuato e una gradazione alcolica non misurabile.
IL TORCHIO – Il concetto del "non si butta niente" era ben espresso dal torchio. Dopo aver spillato il vino dal tino, si raccoglievano le vinacce superficiali del cappello e si buttavano, sia perché quasi secche, ma soprattutto perché inacidite. La parte restante delle vinacce (quasi la totalità), si immettevano nel torchio e qui venivano spremute. Il vino prodotto era decisamente aspro e poteva essere utilizzato in tre possibili modi:
Primo - Mischiarlo al vino spillato per renderlo un poco più asprigno;
Secondo – Berlo presto in attesa che il vino buono si rafforzasse;
Terzo - Sfruttare le caratteristiche delle torchiature per produrre un mezzo vino molto lungo che poteva servire a dissetare i falciatori nelle mattine soleggiate e afose.
LE BOTTI – Nelle aziende agricole il vino era generalmente conservato in botti da 5 – 10 quintali. Il nostro lambrusco, vino abbastanza leggero (10 o 11 gradi), non poteva essere conservato a lungo, per cui veniva consumato nell’arco dell’anno. Generalmente lo si prelevava dalla botte con un fiasco o un altro contenitore.
IMBUTO DA BOTTE – Serviva per travasare il vino dai secchi o dai bigonci nella botte. Aveva la forma di una vasca in legno e, sul fondo, emergeva un cono in rame dal quale transitava il vino o il mosto.
SPINOTTI DA BOTTE – Le botti dovevano disporre di appositi spinotti in legno per prelevare il vino. Questi erano dotati di un attacco alla botte di forma conica, che veniva forzato entro un apposito foro. Una chiavetta, ovvero un perno forato con maniglia, fungeva da rubinetto. Nella collezione sono presenti vari spinotti.
LE DAMIGIANE – Nelle piccole produzioni ad uso privato, dopo la spillatura, il vino si conservava nelle damigiane da 30 – 50 litri, a seconda del fabbisogno. Le damigiane servivano anche per il trasporto del vino che si acquistava.
CARRETTO PER DAMIGIANE – Come si è accennato chi andava ad acquistare il vino alla cantina, si serviva di un apposito carretto realizzato con ruote da bicicletta e telaio in legno.
FILTRI PER VINO DOLCE – Per ottenere del vino dolce si utilizzava un filtro costituito da un bigoncio appeso al soffitto che fungeva da serbatoio di partenza, al quale era collegato un filtro in tela dotato di un rubinetto d’entrata per dosare o chiudere l’ingresso del mosto. Il mosto filtrato era raccolto in un secondo bigoncio posto sotto al filtro.
POMPA DA VINO – Era utilizzata nelle grosse cantine per trasferire il vino da una botte all’altra. Era azionata in modo manuale ed era dotata di due ruote per lo spostamento all’interno della cantina.
DIRASPATRICE – Serviva dopo la pigiatura per eliminare dal mosto i graspi che potevano procurare acidità al vino.
GASATRICE – Serviva per immettere gas nel vino e renderlo quindi artificialmente frizzante. Il gas era fornito da una bombola contenente anidride carbonica.